lunedì 15 novembre 2010

QUEL SIMBOLO DEL FUTURO AL FEMMINILE

 articolo di Umberto Veronesi tratto da La stampa

Lorenzo Mattotti


L’immagine dell’esile Aung San Suu Kyi che esce dalla sua casa-prigione mettendosi un fiore fra i capelli e stringendo un fazzoletto bianco nella mano diventerà il simbolo del nuovo percorso mondiale verso la pace.

Che, inevitabilmente, sarà guidato dalle donne. Fra i tanti commenti dei leader mondiali mi ha colpito quello del presidente Obama: «È stata liberata un’eroina». È proprio la capacità tutta femminile di essere «eroi del bene» che fa delle donne le principali vittime dei conflitti e allo stesso tempo le più grandi protagoniste dei processi di pacificazione. Io ne sono convinto da sempre, come medico delle donne, come estimatore del pensiero femminile e come uomo che ha vissuto la guerra. Infatti nel Movimento Science for Peace, che ho creato due anni fa, le donne hanno un ruolo centrale, e nella seconda edizione della Conferenza Mondiale che inaugureremo giovedì prossimo a Milano un’intera sessione sarà dedicata a esperienze di donne che vivono in aree di conflitti e mettono a rischio la propria vita per sanarli.




L’amica Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace, dall’Iran, Mary Akrami dall’Afghanistan, Tara Gandhi dall’India, Aicha Ech-Cahnna e Rita El Khayat dal Marocco. Sono storie che dimostrano nei fatti ciò che la scienza e l’evoluzione ci confermano: le donne sono biologicamente portate alla pace. Gli ormoni androgeni, predisposti alla differenziazione in senso maschile, concorrono all’aggressività, che è un istinto «distruttivo»; mentre gli ormoni femminili, che hanno la funzione di mantenere un equilibrio che tende alla conservazione e alla riproduzione della vita, sono all’origine dell’istinto «costruttivo».

Non è un caso se sono maschi i teppisti allo stadio, i terroristi, i boia, i serial killer. La donna non uccide e non si uccide: la maggioranza degli omicidi sono perpetrati da uomini, mentre la maggioranza delle loro vittime sono donne. I suicidi femminili sono rari. La donna odia la violenza, odia la guerra e il suo caos, che porta via i compagni e le impedisce di far crescere serenamente i suoi figli. Quindi, per natura, si oppone alla violenza, e la sua forza è che lo fa rifiutando la provocazione, ignorando i soprusi, gli insulti e le privazioni; ma continuando invece, imperturbabile, la ricerca del dialogo. Questo ha fatto Aung San Suu Kyi in Birmania e, come lei, le eroine dei nostri giorni; che sono ben diverse dagli eroi della patria degli scorsi secoli, che troviamo immortalati nelle statue, su cavalli scalpitanti, con le spade sguainate.

«Quando immagino una Birmania democratica - ha scritto Suu Kyi - la vedo in termini di meno sofferenze per la gente. Voglio un Paese in cui siano rispettate le leggi, dove le persone siano sicure, dove siano incoraggiate e aiutate ad acquisire un’istruzione e ampliare i loro orizzonti, dove vengano favorite le condizioni per alleggerire mente e corpo. Al centro del mio movimento c’è “Metta”, che significa il desiderio di arrecare sollievo agli esseri umani».

In queste parole c’è l’espressione dell’amore universale, e penso che nessun uomo le avrebbe pronunciate e difese anche di fronte alle minacce di morte. Non è un caso se, ovunque nel mondo si calpestano i diritti umani, oggi troviamo a combattere in prima fila una donna, e questo mi rassicura su un futuro migliore e pacifico. Che la gestione femminile sia un vantaggio è stato ben capito, sorprendentemente, in Ruanda, dove, primo caso nel mondo, a seguito delle recenti elezioni il Parlamento è composto per quasi il 55% da donne.

La capacità di dialogo, comunicazione e mediazione oggi sono vincenti, mente l’aggressività è un handicap, per cui un maggior ruolo femminile nelle aree critiche non può che essere una speranza. Una doppia speranza, anzi. La positiva conclusione della vicenda di Suu Kyi in Birmania, così come quella di Sakineh in Iran, dimostrano come la sensibilizzazione e la partecipazione della popolazione (che oggi grazie ai media e a Internet è la popolazione di tutto il mondo), che le donne con la loro amorevolezza sanno spesso ottenere, sono uno strumento efficace per vincere le cause che rappresentano un valore e un progresso per tutta l’umanità. Io credo moltissimo nel coinvolgimento attivo della gente e per questo ho voluto per la pace una Conferenza aperta al pubblico e un Movimento a cui tutti possono aderire attraverso il sito www.fondazioneveronesi.it/scienceforpeace

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